Descrizione
La collana in caucciù con scudo ateinese è stata prototipata a mano con lastre e fili in cera. E’ stata ricavata la forma desiderata a scudo dalla lastra poi con la fiamma della spiritiera ed uno specillo è stata riscaldata dell’altra cera per poterla modellare e formare i dettagli in rilievo. I capicorda sono stati ricavati dalla cera con lime e frese. Poi con un processo di microfusione lo scudo e i capicorda sono stati riprodotti nel materiale desiderato. A quel punto il ciondolo è stato sottoposto a rifinitura totale sempre con l’aiuto di frese, lime e carte abrasive (dalla grana più grossa alla più fine) per togliere ogni imperfezione. Dopo è stato passato alla lucidatrice prima con spazzola in crine e pasta gialla a velocità minima (per togliere gli ultimi graffi rimasti) e poi a velocità massima (per rifinire il tutto); abbiamo quindi sostituito il crine con la spazzola in cotone morbido e usato il rossetto (ossido di ferro) per lucidarlo di nuovo, prima a velocità minima e poi a velocità massima. Ogni passaggio è stato quindi ripetuto per ciascun pezzo. E’ stato lavato tutto in acqua calda e sapone per gioielli (nell’ultrasuoni, macchinario che con scariche di ultrasuoni lava accuratamente l’oggetto) e fatto asciugare ricoprendolo con della sabbia specifica. Lo scudo è stato smaltato e lasciato ad asciugare per diverse ore. Il ciondolo quindi è stato assemblato con la cordella e i capicorda del rispettivo metallo.
Collana in caucciù con scudo ateniese
Questa collana in caucciù è stata ispirata dalla figura, nell’antica Atene, del peltasta; è nata da un senso di “com-passione” (nell’accezione di Milan Kundera) per questo guerriero antico, dimenticato e spesso denigrato.
L’unità dell’esercito cittadino ateniese, come in quasi tutti gli altri eserciti greci, era il soldato di fanteria pesante detto oplita. Insieme all’oplita c’era un compagno, un uomo di fanteria leggera, che solitamente era un cittadino povero che non poteva permettersi armature o uno schiavo di fiducia. Questi portavano gli scudi e la maggior parte dell’equipaggiamento degli opliti, anche fino in battaglia; privi di spada, erano armati con giavellotti, fionde e, a volte, archi ma, erano riconoscibili in particolare, per via dello scudo di legno a forma di mezza luna, privo di bordatura, rivestito di cuoio o di feltro, con impugnatura facilitata e dipinto con facce stilizzate; tale scudo era detto pelta e diede il nome di peltasti a questi “soldati ammortizzatori”. Vestivano con una tunica corta priva di maniche per favorire i movimenti di tiro del giavellotto; quest’ultimo infatti era lungo dal metro al metro e mezzo circa, veniva scagliato dopo un breve tratto fatto di corsa contro il nemico e, una volta eseguito il primo lancio era previsto il rientro nei ranghi; la loro strategia infatti era quella dell’attacco e fuga, non essendo in grado di affrontare uno scontro frontale con una serrata formazione di opliti; colpivano di sorpresa lateralmente le falangi nemiche per poi ripiegare velocemente dietro le linee alleate. I peltasti avevano due grandi vantaggi rispetto alla fanteria classica greca: erano veloci e potevano creare un gran numero di feriti in poco tempo, senza necessariamente essere coinvolti in uno scontro corpo a corpo; tuttavia erano molto esposti alle frecce nemiche e non potevano competere neanche per pochissimo tempo contro un disciplinato schieramento di fanteria pesante che vantava anni di addestramento. Quando la battaglia terminava i peltasti facevano tutto il possibile per coprire la ritirata o massacravano il nemico se i loro opliti ne uscivano vittoriosi. Per lungo tempo e nonostante alcuni di essi seppero dimostrare di possedere le medesime doti di un oplita, furono scartati dagli strateghi greci che li preferivano solo per inseguimenti o agguati ma quasi mai in battaglia.